lunedì 1 novembre 2004

Elisa Simoni "mosaici"

Riflessi, effetti luminosi che provengono da un materiale tutto veneziano:
il vetro- luminoso, trasparente,fragile,che si alterna alla forza e
all'imponenza del del marmo.

Questi sono gli accenti che si colgono nll'istante, voluti dalla mosaicista Elisa Simoni per questo suo nuovo ciclo di opere. Tale processo artistico è assai vicino alle ricerche stilistiche del pittore catalano Sergi Barnils,incontrato a Barcelona nel 2003, il quale ha accompagnato con discrezione e stima questa ricerca che fonde due tecniche artistiche molto suggestive.
Dunque l'encausto di Barnils diventa mosaico, si frantuma, si disgrega, si ricompone, si fonde.
Dietro a tutto ciò è presente una dedizione manuale lenta, meticolosa, dove la riflessione è padrona sull'emozione, ponendo pause, momenti d'attesa. Diqui il risultato di segni ritmici, cadenzati, che vanno a scoprire un mondo reale e spirituale, in una fusione tra antico e moderno, impreziosito dai contrasti tra il vetro e il marmo, tra la ricchezza dell'oro e la povertà del bitume, e che scrutando attentamente è ricco di un'infinità di
particolari, ricco di corrispondenze da preservare.
La Simoni approda a Venezia dopo alcune tappe significative ed importanti degne di gratificazione per una giovane artista ravennate; ha partecipato alla realizzazione della mostra "Muse mosaico" in collaborazione con Sandro Chia, e con diversi artisti di fama internazionale quali Dario Fo, Piero Gilardi.
Numerosi sono i riconoscimenti a concorsi, e realizzazioni di monumenti per le città di Ravenna, Miramare di Rimini, Punta marina terme.
Attualmente vive e lavora nel suo laboratorio di mosaico a Lugo (Ra) nel quale svolge corsi privati di mosaico, ed è docente presso l'università degli adulti e di diverse scuole del territorio ravennate.

sabato 23 ottobre 2004

Door to door

Sabato 23 ottobre alle 19.30 all’Associazione Culturale Spiazzi potrete assistere a door to door – cultura in svendita, performance in un atto unico di presentazione del libro “Pensieri diversi in versi” - Vademecum poetico-astrologico del pellegrino lost in the sense of doing things quietly di Elizabeth Sherwood. A cura della Rooming-In Homework Production. Ingresso libero.
Door to door – cultura in svendita è una proposta di Marisa Florian. Con Marisa Florian, Elizabeth Sherwood e con la partecipazione straordinaria della Contessa Platessa Basinska Brancusi.
“Il nostro lavoro nasce spontaneamente come necessità di essere, appartenere, e misurarsi col mondo che gira intorno all’arte che è fatto anche di creatività oltre che di svendite.
Ci piacerebbe viaggiare nella sfera della gratuità ma non essendo contesse ancora coviamo sentimenti mercenari.
Per ora offriamo il nostro spirito in qualche modo goliardico, per niente assoluto né sublime, ma come al solito ben appoggiato ai sistemi precotti e preconfezionati delle arti e dei mestieri.
Intanto continuiamo ad immaginarci un mondo telepatico dove queste cose non dovremo né scriverle e né recitarle perché le avremo già capite.
Insieme aspettiamo l’era dell’acquario.
Nel frattempo riponiamo tutta la nostra fiducia nella Contessa.
Confidiamo che grazie al suo tempo libero e alla posizione che la contraddistingue
essa possa finalmente portare la luce.
Insieme a lei non cercheremo il senso delle cose, ma semmai cavalcheremo gli eventi ben salde alle briglie di questo gioco di equilibri.
Le cose le avremo già comprese, non ci scandalizzeremo più di fronte a nulla.
La Contessa ci guiderà giù dal dirupo e insieme a lei ci tufferemo nell’accettazione dei nostri limiti, perse per sempre nell’immensità degli oceani.”


venerdì 1 ottobre 2004

Max Solinas e Giovanni Casellato "scultura e design"

Max Solinas nasce a Venezia nel 1963, e dopo anni spesi a ricercare la propria collocazione nella vita, attraverso lo studio, approda negli ultimi anni nel inondo della scultura: seguendo vari maestri.
Dopo una prima fase sullo studio della figura. Rivolge l’interesse alla stilizzazione della stessa, e fino ad ora rivolge la propria ricerca di linee semplici, ma importanti.
Egli mira a sopprimere ogni dettaglio decorativo, aspirando a forme essenziali. sconfinando a tratti, in una sensibilità astratta palpabile.
Quando il "legno" non riesce più ad esaudire i propri progetti, fa uso di materiali diversi, vetro, policarbonato, bronzi patinati per realizzare oggi, opere concettuali, che come dice lui, debbano comunicare e far comunicare.
Vive e lavora nel Veneto, dividendosi tra Venezia. Treviso e Belluno in mezzo alla natura da dove trae l’energia vitale e fantasiosa per la sua attività, e dove ben volentieri ospita le persone interessate al suo mondo, ospitandole nella sua suggestiva casa-atelier.


Giovanni Casellato nato nel 1968, risiede a Coste di Maser, in provincia di Treviso. Laureato in Architettura a Venezia e da alcuni anni lavora come designer. Si occupa di progettazione e realizzazione d'interni per residenze, uffici, negozi, show rooms e allestimenti fieristici. Collabora con ditte produttrici d'arredamento contemporaneo per la progettazione e realizzazione di prototipi. In particolare modo realizza arredi e complementi prevalentemente costituiti in acciaio, come elemento da valorizzare nel suo aspetto naturale, grazie ad interventi di smerigliatura o ossidatura e verniciatura trasparente che ne esaltano le caratteristiche peculiari, rendendo percettibili linee pulite.
Le forme degli oggetti d'arredo presentati sono pensate e prodotte artigianalmente, senza per questo precluderne il naturale inserimento in dinamiche produttive seriali.
 

giovedì 9 settembre 2004

the other

The OTHER” darà vita a due progetti che forniranno due punti di vista unici sul paesaggio domestico contemporaneo. Tali punti di vista verranno espressi attraverso apparecchi domestici e spazi interni che adducono a differenti valori rispetto a quelli che normalmente sono accettati. In una mostra, proponendo due prospettive differenti, i designers cercheranno di creare un nuovo spazio per il design, caratterizzato da una chiara atmosfera e una forte critica sociale.
Entrambi i progetti si concentrano sulla creazione di oggetti il cui scopo è di generare una piattaforma di esperienze uniche, le quali riflettano la complessità della condizione umana contemporanea.

Nel caso di “Edgetown”, a cura di Shona Kitchen e Ben Hooker, gli oggetti daranno accesso ai piaceri più nascosti e viscerali di un mondo iperindustrializzato. In “Desire Management” a cura di Noam Toran, la casa è interpretata come l’ultima frontiera del privato, un luogo dove individui alienati si intrattengono in esperienze private discutibili, per mezzo di strumenti su misura.
I progetti cercano di identificare e prevedere le discrepanze tra un vivere in un ambiente urbano (esigenze fisiche) e le relative ramificazioni psicologiche. Un tentativo di rispondere a domande complesse attraverso proposte progettuali.
Come interagiamo con l’incessante mutamento del mondo urbano? Che ruolo hanno i prodotti e le architetture in tutto questo? Impariamo forse ad abbracciare e scovare attivamente la sporcizia e il rumore del paesaggio industrializzato, oppure indietreggiamo di fronte a ciò che ha da offrirci questo urbanismo, magari sviluppando riti che promuovono l’individualismo ma sfociano poi in comportamenti antisociali?

giovedì 26 agosto 2004

Gaetano di Gregorio "Ornitology"

Nei pezzi presentati in questa mostra si esplorano alcune tecniche tradizionali dell’arte ceramica, dal tornio, allo stampo, al colombino, sperimentando l’accostamento con materiali inediti come il feltro. Nelle decorazioni a smalto, l’obiettivo è indagare le combinazioni di tecniche tradizionali e iconografia contemporanea, dando nuova luce a forme ed oggetti dall’immagine ormai consolidata. Lo spunto è la rappresentazione degli uccelli, dai vecchi vasi da farmacia della tradizione siciliana a forma di civetta, ai piatti in porcellana decorati a terzo fuoco, alle casette per uccelli.

Il contenuto scientifico di questa mostra è lo studio di nuove specie: gli uccelli in ceramica. La progressiva sottrazione degli habitat naturali, comporta che i volatili ridefiniscano i propri confini spingendosi fino in ambiente urbano e colonizzando piazze o interni domestici.
Gli esemplari selezionati in questo lavoro esprimono in maniera evidente come le categorie di selvatico e addomesticato si intreccino e si mescolino: la varietà di uccelli-vaso e uccelli-piatto è una conferma delle teorie evoluzionistiche che vedono l’animale portato ad assumere comportamenti non propri, in un continuo processo di adattamento. Già nelle uova si possono leggere i segni di un’evoluzione che, attraverso mutazioni genetiche e selezione delle specie produrrà un atlante di animali diverso da quello attuale. Una sezione a parte è dedicata alle più recenti proposte di housing, come forma compensativa e solo parzialmente mitigatoria dell’alterazione determinata dalla visione antropocentrica che orienta il mondo. L’aberrante proporzione del fenomeno piccione, l’uccello più massicciamente presente nei contesti urbani, sintetizza l’aspetto più contraddittorio e ambivalente del rapporto con l’ambiente naturale, evidenziando come la soglia in cui uomini e animali si incontrano, condividendo spazi, abitudini e risorse, sia sempre più ampia, ma fragile e insidiosa. Come camminare su un terreno di uova.


Gaetano Di Gregorio nasce a Catania nel 1972. Dal 1991 abita a Venezia, dove lavora come architetto. Nella sua attività coniuga la computer graphics alle tecniche ceramiche tradizionali, apprese nella sua città d'origine, Caltagirone. Ha partecipato a concorsi e mostre collettive nazionali ed internazionali. Con altri artisti, con i quali condivide l’atelier, ha fondato a Venezia nel 2003 l’associazione culturale Spiazzi, che promuove mostre ed eventi. 

sabato 3 luglio 2004

Officine alchemiche "Una magia oltre la morte"

I gonfiabili delle Officine Alchemiche hanno esplorato diverse forme espressive: da quelle funzionali-decorative, impiegate principalmente nell’ambito dell’intrattenimento, a quelle che in maniera più approfondita si sono mescolate al linguaggio architettonico.
Essi stessi architetture, i gonfiabili delle Officine Alchemiche sono stati a volte fusi nel paesaggio urbano altre inseriti in interni trasformandone linee, volumi, luci.
Discorso a sé è la presenza dei gonfiabili nell’ambiente naturale e/o urbano degradato, nell’intento di essere un intervento particolare di land-art o meglio arte ambientale.
Sensibilizzazione del soggetto più o meno naturale mediante “l’oggetto gonfiabile”, che con la sua temporanea presenza esalta e mette a fuoco l’ambiente che lo ospita e la sua storia.

In questo progetto l’utilizzo dei gonfiabili esplora l'ambito del linguaggio simbolico attraverso la realizzazione di quattro simboli, quattro forme appartenenti all'umano di forte valore archetipico che vengono interpretate nelle rappresentazione finale mediante l'utilizzo del "segno" gonfiabile. che senza svuotarle del loro significato originale le trasporta in un possibile quotidiano ludico/magico.
Proprio per la loro universalità e la loro vastità di interpretazione sono un ponte tra culture anche molto diverse tra loro. Un patrimonio umano che non conosce confini.
Occhio, cuore, mano, teschio.
L'evento si dovrebbe svolgere a cavallo dei tramonto in modo da esaltare la duplice forma dell'installazione, forme pure, bianche e nere di giorno, corpi luminosi di notte. Luminarie di un'improbabile festa di paese dal sapore vagamente pagano.
-Aspetti tecnici
Le nostre installazioni gonfiabili sono ad impatto ambientale zero. Ovvero ne muri ne pavimentazione verranno toccati. La leggerezza caratteristica del nostro lavoro non influirà su qualsivoglia struttura esistente.
In collaborazione con Archivio Giovani Artisti e Cultura e Spettacolo del Comune di Venezia

martedì 1 giugno 2004

Gianluca Sbrana "dipinti e macchine"


‘Sbarca in laguna…’! È il puntuale anagramma del nome di Gianluca Sbrana che giunge dalla Carrara dei bianchi marmi alla placida ebete ex Serenissima, scivola sullo specchio d’acqua paludosa della laguna, surfando con i piedi inforcati sulla sua tavolozza impastata dei colori tra i più acidi e cangianti. Un magma di tinte luminescenti, antitonali, fiondati senza mirare direttamente nell’iride che strabica l’occhio. Con i piedi ben piantati sulla tavolozza e la testa lassù chissàdove, tra le stelle del firmamento, il magma vulcanico dei colori s’impasta fino a mutar in quelle palline di gomma multicolore che impazzite rimbalzano all’interno della scatola cranica persa tra gl’aliti nuvolosi del crepuscolo. Immersa in quella luce al tramonto che sogna la luna da marte dì venerdì, fa passare le sue creature nella cruna d’un ago e fissate come una follia ripassata con cura certosina dalle spatole della lucidatrice si stagliano definite et definitive sulla superficie della tela. Nel suo “frigidare” conserva al fresco lezioni di “Cannibale” con tutto il “Il Male” tra il diabolico bene et religiose extasy. Con una mano impasta con Pazienza Mattioli e Scozzari, è Liberatore di Tamburini filtrato da Giacon e mescola il metodo “paranoico-critico” daliniano, suscettibile di sensibilità alla Bosh ma immerso nei paesaggi sublimi di Turner nella tonalità atmosferico-paesaggista giorgionesca. Mentre con l’altra mano smanetta il joipad in consolle, muove dinamismi da ultimo schema di video giochi surreali infantili, che di parvolo bambino mantengono solo la totale amoralità. Con una pittura manierata dal fare continuo, sviscera dalla cassa toracica della propria testa figure di ossessioni private che psichedeliche contorcono fantasmi del passato e mostre future. Come novello pinocchio che tra grilli muti e aniMalimorfici, si affascina di fronte a fatine morte con il colore cianotico della decomposizione della carne per farne un carnevale. Con una pennellata coriandolare si perde in cieli infestati da stellefilanti multicolore, che s’illuminano di luce propria al festival di carni in maschera al carnevale di Vaneggio. Dalle figure ricorrenti di pupazzi senza collo con la testa sospesa senza fili dalle nubi, alle fiammelle della resurrezzione della pittura inventa, mantenedo gli stessi ingredienti teletrasportati dal proprio personale pianeta, architetture inutili et installazioni ambientali.
Immerge nel buio cieco dell’oblio macchine e sculture imbevute nella tavolozza del cranio dove mischia acrilici fluorescenti e colori luminescenti inchiostrati nella mielina. Dipinge la tridimensionalità con sequenze cromatiche astratte, ripetute maniacalmente nell’ossessione della ripetizione, che viene illuminata dalla lampada di Wood (dal cognome del suo ideatore, il fisico statunitense Robert William Wood). Le lampade di Wood a vapori di mercurio, han la proprietà di filtrare la luce lasciando passare soltanto i raggi ultravioletti; la sua irradiazione è praticamente invisibile. Utilizzata nelle discoteche esalta: i fosfori lasciati dai detersivi nei tessuti, quello dello smalto dei denti, e così la forfora, che irradiata d’una straordinaria luminescenza giace sulle spalle a mo’ di splendido souvenir appena capovolto sceso dai capelli innevati. Ennesimo momento spettracolare, da affrontare con lo stesso ghigno sardonico della morte, con cui le creature dei quadri sono abituati a guardare il fruitore. Lo stesso ghigno dipinto in faccia al cadavere che muore dal ridere nell’attimo di still life al game over, animato in ‘cartone’ dalla luce nera e trattato con artifizio da diligenti pennellate svisate tra il pelo di cinghiale e la coda del mouse.

lunedì 29 marzo 2004

Rosanna Corro' "Colori in quadrati"


Grazie ad un appassionato lavoro di acquisizione delle tecniche artigianali di restauro, legatoria e marmorizzazione della carta, Rosanna Corrò ha raggiunto un livello di sapienza tecnica che le permette di sperimentare forme e tecniche proprie. Attraverso processi misteriosi, Rosanna rappresenta forme eteree e gassose, e la carta velina ne è lo strumento di rappresentazione, materia pura che conserva una memoria liquida. Dall’acqua ottiene l’aria.
Nella serie di veline presentate in questa mostra, l’artista propone un’esplosione colorata e imprevedibile di composizioni sempre diverse. La carta viene spogliata di peso e si fa nuvola, esplosione siderale o riflesso sull’acqua.
Ma il gioco non è solitario, l’artista, confezionando scatole da gioco che sono come degli scrigni preziosi, invita a comporre, a propria volta, rettangoli, linee, superfici con piastrelle quadrate di formati diversi, che s’incollano alle pareti, e sono finestre aperte sul cielo o scacchiere coloratissime, oppure rivestono tavoli, quaderni, oggetti che arredano la casa, rendendo funzionale il frutto della sua creatività.
Così Rosanna rappresenta la sua idea di leggerezza.

sabato 6 marzo 2004

Seby Ciucina "dipinti su cartone da imballaggio"

Seby Ciurcina lavora a Berlino, dove si è trasferito da Bologna, ma è nato a Siracusa, e l'immagine del giovane pittore che attraversa l'Europa haantichi riferimenti. Non con una valigia di cartone si è messo in viaggio,
ma piena di cartoni, il povero e leggero materiale che ha deciso di usare come supporto per i suoi dipinti. Si tratta per lo più di ritratti di amici, delineati rapidamente sulla superficie marroncina con colori forti puri, a volte violenti.
Colori memori di esperienze pop, in mente Lichtenstein, Schifano, e maestri del fumetto come Pazienza e Pratt. Il gusto di soffermarsi sul volto, del resto è essenziale per un siciliano comprendere o comunque usare il
linguaggio degli occhi, senza paura di deformarlo anche, e l'esempio più amato è la ricerca di Bacon, quando è qualcosa di più nascosto che sta cercando nel modello. Schiacciati sulla superficie piatta del cartone, i personaggi si fanno timidi o sfrontati testimoni di un momento di passaggio
che rimane effimero, come un incontro fugace, uno stato d'animo, un'espressione del viso. Raccogliendo tasselli di esperienze altrui, il cammino di Ciurcina prende una direzione che porta sempre di più verso di sé, in un dipanare allegro e disordinato della sua personalità. In questo senso ludico e indagatore si pongono anche gli autoritratti, a volte seri efieri, oppure mascherati, o irriverenti e autoironici.

Sebastiano è un amico, e mi piace, Sebastiano in realtà si chiama Seby, proprio così, all'anagrafe, e a me ha sempre fatto ridere che un nome possa allungarsi invece che ridursi; Seby sa raccontare molto bene le cose, è ludico e pudico, giocoso e pensoso, e sa suonare la batteria di Ringo in playback in maniera sublime. La generosità che caratterizza Seby è l'esito felice della sua insaziabile curiosità, perché per raccontare bisogna tanto ascoltare, per giocare bisogna giocare e far giocare, guardare, ridere e
immaginare. Seby racconta anche con i colori, colori puri, netti, a volte violenti, in contrasto. Colori pop, flash, deep, cheap, a volte ammiccanti a volte scostanti irriverenti urtanti; soprattutto perché con questi colori Seby dipinge dei volti umani, anzi molto di più, dei volti di amici, dei ritratti di persone conosciute, amate, litigate e ritrovate. E può dare anche fastidio vederli rappresentati con quei gialli marroni blu rossi che pensi che sono cattivi o matti o brutti o…in realtà sono forse solo nudi,
sono loro sono veri. Cioè è la vera parte che Seby cerca in loro in quel momento, in loro, per ricomporre un puzzle di se stesso destinato a non avere fine, ogni tessello un lato del carattere di cui non si ha coscienza, magari un dubbio…
Gli amanti della vita in genere non si accontentano della propria, ne cercano altre in giro, nelle persone nei racconti e shakerando fondendo cambiando qualcosa un po’ le inglobano nella propria storia, e se lo si sa fare non se ne esce schizofrenici ma più allegri. E il supporto? Il supporto è importante, perché non li scolpisce mica sul marmo questi ritratti…usa il cartone, cenerentola delle superfici che usiamo per fare la spesa e i traslochi, che senza i colori di Seby ha il
tipico colore triste del cartone. E' leggero e trasportabile reperibile economico, ti fa fare tutte le prove che vuoi, se non ti piacciono le butti via, attacchi un pezzo all'altro se vuoi una cosa lunga, lo rileghi se vuoi un libro, lo costruisci se vuoi la tridimensione; certo ha una durata nel tempo limitata, ma come dice Conan il barbaro, Cosa vuoi vivere in eterno?
E in fondo tutt'altro che eterni sono tanti incontri ed episodi della vita espressioni umori…

domenica 15 febbraio 2004

Emma Lumley "gioielli"

Se pensate che il nome di Emma Lumey vi sia familiare allora significa che quando andate al cinema vi fermate fino alla fine dei titoli di coda. Il nome di questa simpatica ragazza della Nuova Zelanda è infatti citato all'interno del Signore degli Anelli.
Lumley è la creatrice del fermaglio che portava Galandriel durante il primo episodio, La Compagnia dell'anello, ha poi ideato sia le spille degli uomini nell'episodio Le Due Torri che le corone sfoggiate da Arwen e Aragorn nell'ultima parte, Il Ritorno del Re. Naturalmente allo stato attuale non c'è una grossa richiesta di corone al di fuori dallo schermo e proprio per questo Emma crea orecchini, braccialetti e collane.
Il suo lavoro è per certi versi un richiamo alla tradizione celtica o comunque ad uno stile organico-naturalistico, bellissime sono le sue margheritine d'argento, ma allo stesso tempo alcuni pezzi si discostano completamente da questo stile raggiungendo una purezza di forme quasi astratta. "Tendo a non lavorare a collezioni che hanno un tema preciso perchè ciò potrebbe restringere il mio stile ed il mio campo d'azione", dice Emma.



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